Se è il vescovo a seminare odio… – di don Andrea Maccabiani

Cosa motiva un vescovo cattolico a voler prendere posizione contro una comunità o contro dei sacerdoti? Cosa lo può spingere a volere a tutti i costi la distruzione di una realtà o addirittura della dignità sacerdotale? Quali sono questi costi?

Un vescovo deve preoccuparsi della difesa del gregge a lui affidato dal capo della Chiesa, cioè Nostro Signore Gesù Cristo, tramite la gerarchia competente che lo ha designato e gli ha assegnato una porzione di Chiesa. Egli è sorvegliante: spetta a lui ergersi come bastione contro le minacce alla fede e alla santità dei suoi fedeli. Deve essere disposto a battersi affinché le anime a lui affidate siano strappate dal dominio di Satana e possano giungere felicemente ai beni eterni. I pericoli sono tanti e potenti: eresie, apostasia della fede, scismi. Queste gravi trappole insidiano ogni giorno da duemila anni i fedeli di Cristo, tentando di strapparli dalla vera fede per gettarli nelle tenebre «dove vi è pianto e stridore di denti».

Un vescovo deve far sentire la sua voce per proteggere i suoi sacerdoti e tutti i fedeli da questi pericoli. Deve essere disposto a pagare il prezzo più alto pur di perseguire questo obiettivo: la sua stessa vita. Nel martirologio romano abbiamo traccia di numerosi vescovi martiri che hanno testimoniato questo principio, facendo in modo che dalla teoria si passasse alla pratica.

I mezzi che ha a disposizione devono essere buoni come il fine che persegue: la preghiera, la penitenza, l’esortazione, l’insegnamento. Il diritto canonico prevede anche la possibilità di comminare pene che abbiano scopo medicinale, come la scomunica, l’interdetto e la sospensione. Lo scopo è il ravvedimento del reo e l’edificazione di tutti i fedeli.

Cosa succede se un vescovo sbagliasse sia i mezzi che il fine? Se invece di combattere contro il mondo (evangelicamente inteso), contro le eresie, le apostasie, gli scismi… decidesse di combattere contro i suoi fedeli? Se scambiasse la messa cattolica e l’amministrazione dei sacramenti come pericolo e, al contrario, tacesse su blasfemie, profanazioni, decadenza dei costumi? Se addirittura scambiasse questi orrori per bene e non solo non difendesse i diritti di Dio, ma anzi insegnasse a calpestarli? Sembrerebbe la trama di un romanzo distopico ma i lettori più svegli possono facilmente trovarlo aderente alla realtà. Questa malattia autoimmune distrugge le proprie cellule e favorisce la prolificazione del virus, tentando di portare alla morte l’intero organismo. Tenta ma non può riuscirci.

Nessuno può giudicare le intenzioni: si tratta di riflettere sui mezzi e sul fine.

I mezzi. Se anziché mezzi leciti si ricorresse all’approssimazione, alla calunnia, al dispetto fine a sé stesso? Se si confondesse deliberatamente piano soggettivo e oggettivo, scegliendo arbitrariamente quali persone colpire e quali ignorare? Se si decidesse addirittura di pescare dal cilindro testimonianze malamente secretate facendoci addirittura tributare miglior giudizio a quel Caifa che pagò dei falsi testimoni avendo avuto almeno la dignità di palesarsi pubblicamente? La segretezza che avrebbe dovuto proteggere persone e relazioni coinvolte non è bastata nemmeno a coprire la vigliaccheria. E se sulla scia dell’odio ideologico si lasciasse spazio alla discordia nelle famiglie arrivando financo ad episodi di violenza fisica e psicologica pur di poter accontentare l’insaziabile fame di vendetta? Il Signore era stato presago di ciò: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». Il Signore fu però chiaro anche quando disse: «È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! »

L’uomo clericale, vescovo o curiale che sia, si nutre di codici, carte intestate, commi, numeri. Il freddo linguaggio burocratese impedisce il prorompere delle emozioni più turpi. E’ come veder le anatre in un laghetto: fuori è tutto un incedere con eleganza, sott’acqua è un affannato agitarsi di zampe. Ecco quindi articoli di giornale, comunicati, raccomandate, telefonate disperate in cerca di appigli, sollecitazioni a tradire, a consegnare un imputato da poter tormentare a piacimento con il bel garbo di dire a tutti che si tratta del bene superiore. Quale bene superiore? La difesa della fede? Dell’ortodossia? Dei buoni costumi? Niente di tutto ciò.

Un vescovo alla ricerca dell’unità e della pace dovrebbe sapere che ogni sua singola iniziativa si trasforma sui social network in polemica se non di vera e propria calunnia. Tanti parlano di fede cattolica senza nemmeno sapere con quale mano si fa il segno di croce arrivando ad affermare che una messa per i defunti celebrata in un cimitero è addirittura “offensivo” per i defunti stessi. Molti sono spinti dal desiderio di vedere una Chiesa senza più identità, annacquata, sciolta nel mondo. Se nel dopoguerra italiano “i rossi” facevano fuori i preti con fucili o armi, adesso trovano il lavoro già fatto.

Se un vescovo decide di calpestare la dignità sacerdotale barcamenandosi a fatica tra validità e liceità mentre con grande disinvoltura si ammettono titoli (di derivazione cattolica tra l’altro) ad apostati eretici vuol dire che la situazione è già parecchio compromessa. Di questo bisognerebbe avvertire urgentemente i fedeli: di stare alla larga da questi pericoli reali anziché indicarne di immaginari.

Sulla scia dell’odio non rimane niente di buono, solo scandalo, macerie, ulteriore confusione. Rapporti umani compromessi, ostilità, altro odio. Tutte ferite al corpo mistico della Chiesa che invece non è ferito in alcun modo dalla celebrazione dei sacramenti e della Santa Messa. Se non si capisce questo è anche impossibile accettare che sia proprio un vescovo, un successore degli apostoli, a seminare odio. Magari dopo aver scritto una lenzuolata sulla pace in Ucraina o aver presieduto una veglia di preghiera in stola arcobaleno.

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